Essendo medico , e come seguace di Ippocrate , devo riconoscere che la medicina ufficiale ed attuale ha le radici proprio in quella popolare di un tempo, almeno per i suoi rimedi erboristici ,seppure impiegati allora in modo puramente empirico…Ma la scienza non è prima di tutto empirismo? In qualche modo bisognava pur incominciare. Oggi, quando abbiamo un problema di salute di piccola entità, cerchiamo di contattare il medico curante, ma in sua assenza consultiamo direttamente internet ove troviamo la spiegazione di tutto, sia per indicarci qualche rimedio farmacologico fai da te ( “si può comprare senza la ricetta del medico”) ,sia per illustrarci sul significato dei nostri sintomi (tranqullizzandoci o più spesso sprofondandoci nel panico più totale). Beh…”una volta” (termine che lascio a voi quantificare), in assenza del medico , o per piccole patologie per le quali era nota la funzionalità della medicina alternativa, in Liguria come altrove si ricorreva a vecchie ricette erboristiche popolari collaudate e spesso con fondate proprietà antiinfiammatorie. Per i dolori articolari si usava (e si usa ancora) il cannello di zolfo, da ruotare sulla zona patologica fino alla sua rottura improvvisa , quasi che attragga su di se tutta l’energia negativa. Per talune patologie si ricorreva però alla “segnatura” : pratica non sempre del tutto catalogabile, in quanto la maga o “lo striun” seguivano procedure sì comuni a tutte le regioni di Italia, ma spesso con varianti locali o addirittura personali. Di questi “mediconi”,Io ne conobbi due che semplicemente sfruttarono le capacità energetiche eccezionali che madre natura gli aveva donato; uno che imponeva le mani a contatto diretto su alcune patologie corporee articolari trasmettendo un dolorosissimo ed intenso calore, e l’altro, a me più vicino, che avvertiva al contatto zone di particolare patologia osteoarticolare e guariva mediante manovre ortopediche . Entrambi raggiungevano effettivamente risultati terapeutici e furono utilizzati in ambito medico ufficiale quali coadiutori. Poi c’erano i veri “segnatori”, strie e striun ,che ricorrevano a rituali di tipo magico e sfruttando misteriosi poteri .Si trattava , se uomini, di “settimini”, ovvero ultimi figli di sette maschi. Eredi di antichissime culture precristiane sopravvissute a spietate repressioni ecclesiastiche ed agli sprezzanti giudizi della scienza ufficiale , affidavano i loro pazienti a curiose procedure magiche. Tipica era la “ sperleghèuia”, una sorta di pratica base la cui etimologia rimanda in qualche modo al termine “lingua”, che consisteva nel porre una bacinella d’acqua sul capo del soggetto da curare, in cui l’officiante faceva cadere una goccia d’olio che, in base al suo spandimento poteva denunciare l’avvenuto malocchio, o la presenza di una malattia.
(Particolare da “Two Old Men Eating Soup”, 1819-1823 di F. Goya)
Occorreva allora scongiurare il male (per es.”via via camminna,in te na pria te cunfinnu. E te puesci returnaa quando a l’è asciuta l’aegua du maa! .Trad. via via cammina,in una pietra ti confino e tu possa ritornare quando è asciutta l’acqua del mare). Se il soggetto in questione era febbricitante, l’acqua nella bacinella poteva anche bollire! (e la febbre passare). L’acqua poi andava gettata nei quattro angoli della stanza. Altri tipi di segnature erano per gli orzaioli (“Dio me libera da stu maa, u maa de l’oeggiu zu pe u canà “), per il mal di gola, per l’erisipela della pelle, per l’herpes zooster, nonchè delle distorsioni della caviglia (mediante l’uso di crocette di legno unite ad una cordicella che sembravano in effetti richiamare l’immagine delle strutture ligamentose di tale articolazione),per le ragadi anali (“un po’ d’oeiu ed un po’ d’asì el te cul serà guarì”),per i dolori in generale (“un po d’oeiu de rattin, ti guariae duman mattin, un po d’oeiu de candeja ti guariae duman a seja)”.Pratiche che spesso avevano bisogno del chiarore del plenilunio…quasi una necessità del simbolismo naturale femminile rappresentato dalla Luna. Esistevano poi piccole pratiche o superstizioni per tutti: se si incontrava un neonato bisognava dire ”che bellu figgeu, che u Segnu ou benedigghe”, ovvero Che bel bambino che il signore lo benedica, onde non far sospettare la trasmissone di una qualche forma di malocchio inconscia, o non indicare mai la gemma di una pianta, per non far credere di essere una strega se questa avvizziva. Se si avvicinava la possibilità di grandine, disastrosa sui raccolti, si esponeva sul davanzale della finestra una croce di canna ed un uovo ,probabilmente benedetto e se si temeva il temporale si recitava “Santa Barbara e San Simone, guardatemi dal lampo e dal tuono e dal lampo e dalla saetta, Santa Barbara benedetta“. La notte del 31 ottobre (oggi si deve dire di Halloween), i bambini bussavano alle porte e non dicevano “dolcetto o scherzetto” ma la più cattiva “Mamma e papà , dateci nocciole, sennò il bambino vi muore”. E poi si riteneva che il passaggio di un cane sconosciuto e nero attorno alla casa di un moribondo, fosse il Diavolo che venisse a vedere se c’era qualche anima da prelevare.
(Particolare di incisione di Breu Il Vecchio: Mandragore)
Bisognava stare attenti a non bere la cenere nel vino, che qualcuno poteva mettervi all’insaputa, pena la pazzia . Insomma, in mancanza di tutto, per la cura della propria salute od il mantenimento della propria serenità si ricorreva a “verità” in cui si aveva cieca fiducia . Proprio da tale fiducia si raggiungeva così il famoso “effetto pacebo“ nella cura di una malattia od almeno un aiuto al superamento delle proprie ansie esistenziali. Forse quel plus terapeutico che “u megu” di adesso (ma…”megu” non è simile a “mago”?) dovrebbe saper ancora infondere al proprio assistito .
G.R.