Nel 1852 ,durante gli scavi per la costruzione della Chiesa delle Suore della Misericordia nel centro di Savona , si rinvenne, alla profondità di circa tre metri, “sigillato” nel contesto di uno strato marnoso a ridosso di uno sperone osseo, un scheletro umano fossile. Esso appariva inclinato a testa in giù con il capo flesso e le braccia protese , con adiacenti piccoli residui vegetali carboniosi e piccole conchiglie.
Subito liberato dal contesto in cui era contenuto da uno scultore locale, attrasse l’attenzione del mondo scientifico di allora. Accorsero all’esame Don Deo Gratias Perrando, esperto di fossili (cui si deve la loro raccolta nell’omonimo museo di Sassello e numerosi reperti del Museo di Villa Pallavicini a Genova), ed il professor Arturo Issel .Essi si resero subito conto dell’eccezionalità della scoperta: lo strato geologico in cui si trovava lo scheletro era addebitabile per le caratteristiche al Pliocene, e seppure allora non se ne conoscesse con sicurezza la datazione (oggi collocata fra i 5 milioni e 300 mila anni ad un milione ed 800 mila anni fa) si comprese come il fatto fosse del tutto inusitato. Dunque l’uomo già esisteva in epoca così remota, quando la superficie marina era circa 100 metri superiore all’attuale,e la cosa veniva attestata per la prima volta a Savona .Lo stessa Issel illustrò il caso al Congresso Internazionale d’antropologia ed archeologia preistorica di Parigi nel 1867, sostenendo che i resti ossei dovevano appartenere ad un individuo annegato nelle acque tranquille di un delta fluviale e poi affondato fra i fanghi del fondo e che in una sepoltura più recente (ipotesi sostenuta da molti scienziati di allora e di cui non si erano comunque trovate le vestigia ) la scheletro avrebbe avuto un posizione orizzontale e composta. Inoltre , sottolineavano Issel e Perrando, le ossa si erano fossilizzate. L’esame effettuato sui resti della mascella dal famoso scienziato Paul Broca, depose per una notevole antichità genetica per cui l’Issel concluse ragionevolmente per chiamare quello scheletro con il nome di Umanoide di Savona.
Nello stesso periodo il biologo genovese Giovanni Ramorino,che pure si interessò al caso, rinveniva ossa animali lavorate dall’uomo in strati pliocenici in Val d’Arno, ed i resti di un altro antropoide venivano trovati in una cava di argilla a Borgio Verezzi (ma questa volta messi in dubbio dall’Issel).
Infine, sempre nell’epoca, si ha notizia non confermata scientificamente, di uno scheletro umano rinvenuto fra carbone in una miniera nell’alta Val Bormida.
Ora quel che resta ,e non è andato perduto ,dell’Antropoide di Savona, riposa nel Museo Pallavicini di Genova, a Pegli. In quanto “antropoide” era in qualche modo tollerata una sua possibile datazione almeno al tardo Pleistoce ma…un recente esame antropometrico effettuato presso l’università di Pisa avrebbe concluso per la sua “modernità” anatomica . La presenza di uno scheletro umano moderno non trova pertanto ufficialmente posto nel Pliocene.Per alcuni scienziati moderni torna quindi l’ipotesi di una sua semplice sepoltura (seppure preistorica o preromana) mentre per coloro che credono a quanto sinceramente rilevato dal Perrando e da Issel , l’Antrpoide (ovvero un qualche primato parente o progenitore umano) diviene ora a tutti gli effetti “ l ‘Uomo di Savona” , ed entra a pieno titolo nelle pagine dell’ archeologia proibita.
R.G.